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LA RICERCA DI QUALITA', DALL'ARTE DELLA MANUTENZIONE DELLA MOTOCICLETTA AL PROGETTO DELLA CITTA'

di Laura Delli Noci

(articolo pubblicato sulla rivista di Architettura "Serendicity", numero 1, Agosto 2001.  Ringraziamo l'autrice e la direzione della rivista per aver gentilmente concesso l'articolo)  

Robert Pirsig, scrittore americano autore de Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta e di Lila, costruisce un suo percorso speculativo di comprensione della Qualità (con la "Q" maiuscola, intesa come concetto filosofico).
Nei suoi libri si passa continuamente da un discorso intimo, speculativo, strutturato attorno ad una concezione metafisica dell'entità Qualità a una sorta di euristica del concetto stesso verificata attraverso eventi autobiografici come i viaggi, la vita familiare, il lavoro nelle università americane oppure la scelta di studiare filosofia in India, il periodo del manicomio e dell'elettro-shock, la morte del giovane figlio coinvolto in un attentato, ecc.
Propone un sistema di pensiero col quale tenta di superare il dualismo soggetto - oggetto (ma si potrebbe dire: mente-natura, teoria-pratica, razionale-irrazionale, ragione-sentimento, ecc.), che gli eventi storico - sociali della nostra epoca hanno messo in crisi, compromettendo il sistema razionale proprio del mondo occidentale.
Tutt'altro che negata, la dicotomia diviene risolvibile all'interno di un discorso più ampio, grazie all'identificazione di un principio unificatore superiore del tutto analogo a quelli propri delle filosofie-religioni orientali come il Buddismo Zen.
Questo principio è, appunto, la Qualità.

Pirsig individua nel complicato rapporto tra individuo e civiltà uno dei nodi principali del nostro tempo.
La difficoltà a superare gli ostacoli, che si frappongono di continuo tra noi e il mondo circostante non è legata, come molti credono erroneamente, alla natura specifica dei fatti, ma al mezzo di cui l'individuo si serve, la razionalità, che non è più adeguato a tale scopo.
La contemporaneità, secondo lui, vive un'impasse epocale uguale a quella che vide Newton bloccato di fronte alla scoperta della variazione istantanea (ovvero, di un tempo molto vicino allo zero). Allora, Newton escogitò il calcolo differenziale. In altre parole, ampliò l'ambito di comprensione.
Analogamente, oggi, avremmo bisogno - e, in parte, ciò sta accadendo - di un nuovo processo di ampliamento degli orizzonti.

Egli si pone sostanzialmente due interrogativi: cosa sia la Qualità e come si possa produrla.

Afferma: cercare di perseguire la Qualità può essere difficile come scalare una montagna, eppure, come per scalare una montagna si intuisce che devono esserci un'infinità di modi per farlo.
Bisogna, quindi, imparare ad osservare e, nello stesso tempo, acquisirne consapevolezza.
La montagna va scalata lentamente e senza procurarsi sforzo, liberi dall'inquietudine e dallo sfinimento; ad un certo punto non si penserà più alla vetta, si entrerà in una sorta di equilibrio col proprio respiro e finalmente si scoprirà che in ogni cosa intorno, anche nella più banale, risiede il fine ultimo di quell'esperienza.

La Qualità ha a che fare con la Verità, che è un punto nodale del pensiero occidentale.
Filosofie antichissime, quali quelle alla base delle maggiori religioni orientali, ammettono che la verità possa essere appresa con mezzi non razionali, mentre il mondo accademico occidentale ha per lungo tempo rifiutato tutto ciò che non si potesse far risalire ad un principio razionale.

Dice Pirsig:

la Qualità è una caratteristica del pensiero e dell'espressione che viene individuata mediante un processo non intellettuale.

Il che significa che essa non può essere definita, perché definire è, appunto, un processo intellettuale.
Se Qualità è 'ciò che piace' la Scienza non contempla l'esistenza di Qualità, soffre di una forma di pregiudizio nei suoi confronti.
Ciò che riguarda il piacere è molto vicino alla libertà, è un fenomeno libero, di solito è anche troppo complesso per poter ammettere di essere "ingabbiato" in una definizione.
Per la Scienza ciò che non si può definire non esiste; oppure attiene ad un ambito puramente soggettivo, il che equivale al non esistere.
Eppure tutti sanno che cos'è la Qualità: se non ci fosse la categoria bello/brutto, qualità/non-qualità, il mondo non sarebbe lo stesso, forse non potrebbe esistere, scomparirebbe l'arte, il gioco, la competizione, il commercio, tutto ciò che si basa sul fatto che qualcosa è meglio di qualcos'altro.
Per Pirsig, la Qualità è il fine misterioso e inspiegabile che muove il lato creativo di ogni individuo. E' ciò che sostituisce l'ego con il 'qui' e l' 'ora'; contiene in sé il dualismo, dividendo il mondo in base a princìpi di valore.
Secondo una certa accezione, essa è solo il fascino superficiale e romantico delle cose e non ha niente a che vedere con la loro forma soggiacente.
A volte, però, la percezione della Qualità arricchisce la conoscenza di ciò che si ha di fronte e quella conoscenza stimola la percezione di nuova Qualità.
Allora percepire la Qualità diventa tutt'altro che un fatto puramente soggettivo, è qualcosa che rende consapevoli del mondo circostante, è il punto di incontro tra soggetto e oggetto, è, infine, ogni forma di percezione del reale.
S'identifica con essa una fase pre-intellettuale.
E' per questo, sostiene Pirsig, che gli intellettuali - coloro i quali privilegiano l'intelletto, ovvero che tendono a sviluppare la fase successiva della comprensione -, di solito hanno difficoltà a percepire la Qualità, in quanto la considerano solo un momento di transizione.

Non ci sono regole per percepire la Qualità, ci si accorge quasi d'istinto della sua presenza o meno. Né vi possono essere regole per riprodurla.
Tutt'al più, secondo Pirsig, vi sono delle tecniche che ne facilitano l'apprendimento.
La differenza tra tecnica e regola risiede nel fatto che la prima è indipendente dalla finalità per cui è messa in atto, quindi non c'è consequenzialità diretta tra l'eseguirla e ottenere l'effetto desiderato. Cosa che invece dovrebbe sempre accadere nel caso della regola.
La validità di una tecnica non preclude altri percorsi possibili.
Si potrebbe anche non ricorrere a nessuna delle tecniche conosciute e inaspettatamente ottenere comunque un ottimo risultato.
Soprattutto, bisogna riportare ogni visione di tipo filosofico ad un uso conveniente per il superamento di problemi quotidiani e concreti poiché, sostiene, lo Zen è in cima alla montagna, ma è soprattutto nel cuore della valle.

Se si vuole porre rimedio alla così detta 'bassa qualità' che caratterizza alcuni ambiti dell'esistenza, a cominciare dai luoghi in cui essa avviene, bisogna concentrare l'attenzione proprio su quegli aspetti che sono stati sempre sottovalutati e relegati nella sfera dell'irrazionale.
Bisogna tener conto che si ha continuamente a che fare con dei codici e che, pertanto, è necessario saperli tradurre, interpretare. Ogni fenomeno può avere molte spiegazioni valide, ha un determinato grado di generalizzazione, ma non è vero in assoluto.
Il metodo di approccio diviene esso stesso parte della realtà rappresentata. Acquisiscono importanza le eccezioni, le differenze e, per contro, le possibili reti di somiglianze, le marginalità.

Il silenzio, afferma Pirsig, permette di trovare la concentrazione per fare le cose nel giusto modo, per conferire loro qualità.
Parrebbe una banalità, ma i contesti culturali occidentali, al di là di qualunque retorica, hanno effettivamente dimenticato cosa sia il vero silenzio.
Inoltre, la Qualità si può sentire, cioè, si può 'tenere' a ciò che si fa o a ciò che si osserva.
Anche quest'aspetto viene dato per scontato, ma la discrepanza tra ciò che l'uomo è e ciò che fa può essere la chiave per capire l'epoca in cui viviamo.

Non ci sono delle regole che determinino se una scelta sia giusta o meno. Si tratta sempre di un processo casuale, guidato da un sesto senso, da una consapevolezza pre-intellettuale, appunto, dalla percezione della Qualità.
Deve verificarsi una sorta di 'selezione' nel corso dell'agire, in modo tale che lo scopo sia perseguito quasi come se si trattasse di un'arte.
Bisogna, infatti, recuperare alcune modalità del lavoro artigiano, l'atteggiamento che gli è proprio: non ci sono mai istruzioni rigide cui attenersi; si decide di volta in volta, di caso in caso; ogni movimento deve essere in sintonia con l'oggetto con cui si ha a che fare, ecc.

La Qualità non può essere definita, ma può essere esemplificata, possono essere, cioè, presentati degli esempi concreti di ciò che rivela Qualità.
Nel suo primo romanzo, Pirsig parla dei libretti delle istruzioni che accompagnano gli oggetti nuovi impacchettati nelle loro scatole. Lui stesso, per un periodo, si guadagna da vivere appunto componendo i testi per questi libretti.
Sostiene che essi si strutturano il più delle volte come elenchi troppo schematici e poco comprensibili di azioni da compiere e che questo può causare in chi li legge un fastidio latente, un'insofferenza che si può tramutare in una forma di avversione generalizzata per la tecnologia.
In realtà, ritiene, le istruzioni disturbano perché le modalità che sono loro proprie presuppongono che il percorso descritto sia l'unico possibile, impediscono qualunque intervento creativo. Mancano di una descrizione del problema complessivo, che permetterebbe almeno di capire il processo mentale proposto. In fondo, le istruzioni sono frutto di un punto di vista specifico, ovvero degli appunti di qualcuno che è stato incaricato di osservare, a tale scopo, la catena di montaggio.
Ogni individuo può avere un percorso personale rispetto ad uno stesso evento. E' importante tener conto della variabilità di un duplice rapporto: tra 'soggetto' / 'macchina', e poi tra questa relazione e il contesto in cui si svolge, poiché anche il contesto, inteso in senso culturale, è molto influente. Può capitare, ad esempio, che nelle istruzioni di montaggio di una bicicletta made-in-China, si legga una frase del tipo: "innanzitutto porsi in una condizione di vuoto mentale, di tranquillità", che rispecchia un'attitudine tipica di una data cultura.

Si può provare a considerare la macchina e la scrittura delle istruzioni di cui parla Pirsig quale metafora rispettivamente della città e dell'agire progettuale.
Si tratta semplicemente di cogliere ciò che è sempre stato latente.
Anche la distanza tra progettisti e progetto, tra quest'ultimo e la realtà rappresentata è dovuta al dualismo soggetto-oggetto.
Ma tale dualismo non è reale, non siamo condannati ad esso, è solo un'abitudine che si può mutare.
L'introduzione della Qualità permette di rendere dinamico il rapporto soggetto - oggetto, in mutamento continuo. Ogni fase successiva ha più qualità della precedente.

Il tema della qualità urbana è uno degli aspetti centrali nel dibattito contemporaneo sulla città.
Si definiscono intorno ad esso problematiche in continua e rapida evoluzione, legate soprattutto a un'interpretazione del paesaggio urbano come sistema complesso, insieme di reti legate alla presenza di attività, alle modalità della comunicazione, alle relazioni percettive tra luogo e individuo.
Molti sono i contributi che tentano di giungere a una definizione soddisfacente sia dei contenuti che dei metodi più adeguati ad una traduzione progettuale. Risulta, però, sempre più evidente che, come sostiene Pirsig, la qualità, anche nella sua specificità urbana, sfugge ad ogni tipo di definizione; anzi, sembra che più la si persegua più si espliciti il suo carattere 'sfuggente'.
Se dire di qualcosa che ha qualità coincide col dire che è meglio, dire di un luogo che possiede qualità urbana vuol dire che esso risulta ben vivibile, godibile per chi lo fruisce. Ma come circoscrivere in modo oggettivo il concetto di vivibilità o di godibilità?

In merito all'aspetto complesso del concetto di qualità, possono risultare interessanti tre casi che riguardano sia aspetti tipologico- architettonici sia gli atteggiamenti sociali corrispondenti.
Essi rivelano la difficoltà di tradurre le esigenze della società contemporanea attraverso l'attività progettuale.

Il primo caso riguarda alcuni spazi che caratterizzano la città contemporanea e che corrispondono, per certi versi, ai "nonluoghi" di cui parla M. Augè.
Essi sono, ad esempio, i centri commerciali, gli iper-mercati, i complessi polifunzionali dedicati alla cultura, ecc.
Pare che la frequentazione di questi "contenitori di funzioni" non sia legata esclusivamente alla soddisfazione delle esigenze più immediate per cui essi sono stati creati, e cioè, che la gente li fruisca non solo per fare spese, assistere a degli spettacoli o visitarne le opere.
Consapevolmente o meno, le motivazioni principali sono spesso solo pretestuose.
Spazi di questo tipo sono vissuti come esperienze autonome, come svago, poiché attraversarli procura un senso di benessere, attribuisce nuova identità agli individui per mezzo di un processo tranquillizzante di omologazione, permette di 'guardare negli occhi' chi viene di fronte e di stabilire così nuove forme di socialità.
Gli aspetti che li caratterizzano possono essere: la presenza di musica e suoni accuratamente diffusi, di molte scale, rampe e ascensori, di architetture colorate e appariscenti, di volumi imponenti, di dettagli in eccesso, luccichii, opulenza di testi, ecc.
Essi hanno un alto impatto psicologico e rappresentano la ricerca di nuovi codici di 'familiarità ambientale'.

La reazione a tali spazi è di tipo contraddittorio: da un lato si continua a produrne di nuovi, dall'altro si criticano negativamente per i processi psico-sociali che li connotano e di cui sono ritenuti i principali responsabili.

E' senz'altro difficile tradurre senza equivocare alcune esigenze specifiche della contemporaneità. I modelli da cui questo genere di spazi discendono sono frutto di una molteplicità di influssi: economici, politici, culturali, che sono condizionanti anche per i progettisti che li idèano.

E' proprio l'illusione di poter trascendere i fatti complessi che investono l'evoluzione sociale, o meglio, di poterli controllare da un'eventuale posizione privilegiata, demiurgica, di poterne tener conto senza implicazioni per la propria individualità che provoca distanza tra ciò che si realizza e coloro che ne divengono utenti.

Un'altra circostanza, tipica del paesaggio urbano contemporaneo, in cui si evince la complessità del concetto di qualità è quella relativa alle bidonvilles.
Sono agglomerati di case-baracche che sorgono ai margini delle megalopoli, quali prodotti di auto-costruzione realizzati con materiali provvisori, di fortuna, privi di 'urbanizzazione', cioè di connessione a quelle reti che definiscono, anche da un punto di vista burocratico, una sorta di legittimazione della maglia edificata (strade, elettricità, acqua, fognature, gas, collegamenti telefonici), abitati da gruppi emarginati, spesso in clandestinità.
Sono visti dalla gente, ma anche da coloro che si occupano della gestione del territorio, come un male da sanare.
Nonostante tutto - e cioè nonostante tutta questa carenza apparente di bene, in senso morale ed estetico - studi compiuti su questo tipo di comunità hanno dimostrato la presenza di caratteri socialmente positivi come vitalità di relazioni, condivisione di valori morali e di linguaggi specifici, sentimenti di solidarietà tra individui che si riconoscono tra loro come appartenenti allo stesso gruppo, senso di identificazione con il luogo, senso di orgoglio per la propria condizione 'off-limits', stimolo al miglioramento individuale.
Sembrerebbe che nell'opportunità di intervenire concretamente nella costruzione e nella manipolazione del luogo in cui si vive risieda la chiave dei suddetti effetti.
Infatti, tentativi più o meno paternalistici di recuperare questi quartieri, di integrarli nella maglia urbana attraverso operazioni di 'bonifica', nella maggior parte dei casi non hanno sortito buon esito: hanno impoverito gli abitanti dei bagagli culturali cui loro stessi avevano dato vita, negando o denaturando quel diritto di decisione sull'ambiente che ne costituiva la base.

La privazione del diritto di auto-costruzione costituisce una questione nodale nella definizione del ruolo dell'architettura: per la maggioranza di coloro che vivono in città detta privazione è una condizione di norma. Questo determina una riduzione dell'identità.
E', probabilmente, una delle ragioni cui attribuire la percezione diffusa di mancanza di qualità.
Paradossalmente, sotto quest'aspetto gli abitanti delle baraccopoli risultano essere più 'fortunati' non solo rispetto a coloro che vivono in grigi e monotoni quartieri cosiddetti popolari, ma anche rispetto a coloro che praticano le forme dell'abitare urbano tipiche delle classi piccolo e medio borghesi.
I luoghi dell'auto-costruzione posseggono qualcosa che viene ormai storicamente negato a coloro che vivono la città in una condizione di presunta legittimità di occupazione del suolo.

Non si possono affrettare deduzioni del tipo: soddisfare la gente -> gli ipermercati piacciono alla gente -> dobbiamo costruire ipermercati;
oppure:
le periferie progettate dagli architetti non soddisfano perché privano gli individui del possesso del luogo -> le bidonvilles auto-costruite consentono il possesso del luogo -> le bidonvilles sono migliori delle periferie progettate -> non ha più senso progettare.

Da un lato è significativo ammettere che, per esempio, nei casi presi in esame vi siano degli aspetti casuali, non progettati a tavolino, nei quali si può riscontrare un'approssimazione a ciò che la gente rivendica come qualità, qualcosa che riguarda quel concetto di benessere, di agio che i teorici dell'architettura hanno tentato spesso di definire, travisando di volta in volta in senso quantitativo (qualità come standardizzazione), razionalista (qualità come creazione di modelli di vita), estetizzante (qualità come bello), e ultimamente, nostalgico (qualità come riproposizione del passato).
Dall'altro, non si può trascendere dall'aspetto etico: non si può, quindi, accettare passivamente la produzione inequivocabile di alienazione che accompagna la preferenza accordata dalla gente alla frequentazione di centri commerciali e culturali, né si può essere indifferenti alle premesse di ingiustizia e discriminazione che sottendono la formazione delle bidonvilles.

Oggi, inoltre, ci si dovrebbe interrogare sul tipo di mondo cui si pensa quando si parla di qualità.
Sarebbe forse realistico, nonché moralmente corretto, curarsi di non rivolgere tali aspirazioni verso modelli di esistenza che rischiano di risultare troppo asettici, 'puri', ordinati quanto falsi.
La ricerca di qualità non attiene alla imposizione di modifiche, né alla sclerotizzazione della vita degli individui, bensì al suo divenire, al suo evolversi fluidamente. La pratica architettonica può diventare, per certi aspetti, un'attività 'discreta', quasi una constatazione.
Un altro aspetto da porre in evidenza è il rapporto tra significato e qualità.
Mi è sembrato particolarmente interessante, in questo senso, lo studio compiuto da due sociologi francesi, S. Ostrowetsky e J. S. Bordreuil, su quanto da loro definito 'néo-style régional': la loro ricerca prende in esame la consuetudine diffusa in Francia in tempi relativamente recenti di costruire case unifamiliari che richiamano stilisticamente la tradizione regionale provenzale.
Attraverso un'approfondita analisi semiologica, attuata anche per mezzo di indagini di tipo etnografico, hanno compreso che ciò che a prima vista poteva apparire come una scelta preminentemente estetica, più o meno discutibile, celava, in realtà, un complesso processo di identificazione e integrazione sociale.

La scelta della casa unifamiliare si inscrive in un più ampio fenomeno sociale di rifiuto della condizione urbana, intesa sia spazialmente, che temporalmente.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il tentativo è quello di fuggire dall'alienazione e dall'insalubrità della città, che si traduce in un'opzione intellettuale, più o meno consapevole, di riavvicinamento alla natura e alla vita rurale.
Per quanto riguarda il secondo, invece, il rifiuto si rivolge contro il progresso, l'automatizzazione, l'artificio, e si concretizza nella preferenza di manifatture artigianali e di materiali naturali come il legno.
Ancora sul piano temporale, si evidenzia una ragione di ulteriore insoddisfazione, che si traduce nel tentativo di ristabilire una continuità con il passato attraverso il recupero di dettagli architettonici come comignoli, camini, tetti spioventi, uso di colori e forme specifiche, ecc.
Il ricorso a elementi tipici di una tradizione regionale è dovuto probabilmente alla specificità della scala territoriale che riguarda un ambito non troppo esteso e una realtà non troppo lontana nel tempo; è una tradizione che non si è mai interrotta, è, quindi, più autentica di uno stile ormai completamente desueto.

Il fenomeno del 'néo-style régional' presenta, peraltro, percorsi meno lineari di quanto sembri.
Le abitazioni in stile neo-regionale sono, in un certo senso, degli ibridi nell'aspetto e nel contenuto: oltre a presentare forme non ortodosse rispetto alla tradizione rivelano anche delle contraddizioni in quanto i riferimenti al passato sono selezionati come repertorio di segni e ad essi si affiancano elementi prefabbricati per ottimizzare il processo costruttivo (sono prefabbricati anche i comignoli, o le tegole per i tetti, ecc.), elementi derivanti da scelte dettate dall'esigenza di confort, e quindi anche caratterizzati da un alto livello tecnologico (elettrodomestici, servizi realizzati con componenti industriali, illuminazione del giardino, ecc.), e infine elementi derivanti da scelte estetiche assolutamente soggettive (la piscina, finestre con luci ampie, decorazioni, ecc.).

In sostanza, il néo-style régional è più che uno stile architettonico, determina un modo di vivere. L'individuo, attraverso le scelte che compie sulla propria casa, riesce ad esprimere se stesso, si costruisce un'identità, si riconosce, cioè, in essa, e nello stesso tempo, attraverso l'uso di un repertorio di segni che costituisce un codice convenzionale, stabilisce la sua posizione nella scala sociale e quindi la sua appartenenza ad un gruppo.

Cos'è allora, alla luce di queste riflessioni, la qualità urbana?
Pirsig, parlando della Qualità in generale, ha affermato che si tratta di un'entità indefinibile scientificamente, ma percepibile da chiunque.
La qualità urbana si manifesta attraverso la complessità dei luoghi, attraverso, cioè, la convivenza di elementi opposti e in contraddizione; ogni contesto possiede potenzialità qualitative, la cui manifestazione dipende essenzialmente dalla percezione, individuale e collettiva, di coloro che lo abitano.
L'architettura può intervenire su queste trame producendo e potenziando i contesti-tramite, gli interfaccia comunicativi attraverso cui la percezione avviene.

Per Pirsig, uno dei problemi fondamentali del nostro tempo è che spesso costringiamo i processi mentali ad andare più veloci dell'agire: cadere in un loop della concentrazione, compiere un errore, azzerare la coscienza, ecc.
La creatività è uno dei rimedi possibili a questi inconvenienti; intesa non in quanto casuale composizione, ma come intuizione, capacità di trovare i fatti rilevanti.

L'intelligenza che lavora per la Qualità si forma con molta pratica, difficilmente è un talento.
Da un certo punto di vista anche le situazioni di stallo sono positive, possono essere vissute come una sorta di meditazione, che permette poi di migliorare il lavoro. Bisogna avere, come dicono i buddisti, la 'mente del principiante', saper accettare umilmente il blocco mentale in cui si incappa, e darsi tempo; col tempo accadrà di provare stupore anche per le cose semplici, per i piccoli risultati.

Bibliografia:

M. Augè Nonluoghi: introduzione a una antropologia della modernità Elèuthera Milano 1993.

A. B. Belgiojoso ( a cura di) Milano. Qualità della città e progettazione urbana Mazzotta Milano 1988.

A. Gazzola Recupero urbano e recupero sociale. La réhabilitation in Francia in Recuperare n°32 / 1989; pag. 71-75.

S. Ostrowetsky, J. S. Bordreuil Le Nèo-Style regional Dunod Paris 1980.

R. Pirsig Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta Adelphi Milano 1981.

R. Pirsig Lila Adelphi Milano 1991.

 

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